
Venerdì 12 gennaio 2007, ore 7:51. Washington D.C., stazione di L’Enfant Plaza. Un uomo in jeans e cappellino apre il case, posa a terra qualche moneta di “seme”, alza l’arco e inizia dalla Chaconne di Bach: una delle pagine più difficili mai scritte per violino solo. In 43 minuti, 1.097 persone scorrono davanti a lui. Solo sette si fermano almeno un minuto. Ventisette lasciano qualcosa, in corsa. Incasso finale: 32,17 dollari (al netto di una donna che alla fine lo riconosce e aggiunge 20 dollari). Silenzio. Nessun applauso. Eppure quello è Joshua Bell, tra i migliori violinisti al mondo, e sta suonando con uno Stradivari da circa 3,5 milioni di dollari. Ha infilato Bach, Schubert (Ave Maria), Ponce (Estrellita), Massenet e una gavotta ancora di Bach. Il resto è rumore di fondo. (The Washington Post)
Quell’esperimento – organizzato dal Washington Post e raccontato da Gene Weingarten (Pulitzer 2008) – ci sbatte in faccia una verità scomoda: il valore non è nel contenuto, è nel contesto. La stessa musica che in teatro riempie platee a tre cifre, in metropolitana “non esiste”. Non perché la musica sia peggiore, ma perché il frame è sbagliato: niente aspettativa, niente ritualità, niente segnali di qualità, niente fiducia. Solo fretta. (The Washington Post)
È qui che entra in gioco la differenza che ripeto da una vita: branding e promotion non sono la stessa cosa – sono complementari ma separati. La promozione prova a vendere di più, al prezzo più conveniente per tutti. Il branding ti permette di vendere al miglior prezzo possibile per te, offrendo la migliore esperienza possibile al compratore. In altre parole: la promotion dice cosa vendi; il branding dice chi sei e perché dovrei fidarmi di te. Senza fiducia, anche un capolavoro diventa sottofondo.
Quante volte mi sento dire: «Il prodotto è buono, ma non vendo come dovrei».
Spesso il problema non è il prodotto: è l’assenza di cornice. Sito trasandato, naming debole, tono di voce anonimo, customer journey confuso, zero riprova sociale, zero ritualità nell’acquisto. Non è “apparenza”: è esperienza resa visibile. È progettare ogni punto di contatto perché racconti la stessa promessa, nello stesso modo, alla stessa persona. Solo così il pubblico riconosce la qualità, la si aspetta e la paga volentieri.
Se togli lo sconto, la tua proposta regge?
Se la risposta è “no”, non hai un problema di prezzo: hai un problema di branding. Perché la qualità senza contesto fa la fine della Chaconne all’ora di punta: perfetta, ma invisibile.
Costruire un brand significa alzare il volume della fiducia sopra il rumore: chiarire chi sei, scegliere una promessa e mantenerla con coerenza, creare segnali (ambienti, simboli, rituali, linguaggio, cura del servizio) che rendano inevitabile la percezione di valore. Solo allora la tua “musica” si impone anche in mezzo alla corsa quotidiana. Prima la cornice, poi il quadro. Prima il contesto, poi la spinta.
Alain Serafini
Post scriptum: se vuoi vedere l’esperimento con i tuoi occhi, qui c’è il video del Washington Post. È istruttivo e un po’ doloroso. (YouTube)
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